Di galassie e altri demoni

Come sanno tutti i possessori di abbonamento Sky – visto che ci hanno rincitrullito per settimane prima dell’evento – ieri è stato lo Star Wars Day. Dalle prime ore della mattina fino a notte inoltrata è andata in onda tutta la serie completa. Per quelli della mia generazione, gli episodi originali sono stati un’esperienza talmente rivoluzionaria che non occorre nemmeno che ne parli, che tanto sapete tutti a cosa mi riferisco. E infatti è stato con una certa trepidazione che una quindicina d’anni fa – consapevole ormai di non essere più una bambina come all’epoca dei tre episodi precedenti – sono andata a vedere la Minaccia Fantasma. Mi tremavano le vene perché temevo il tracollo. E infatti, una volta finita la proiezione, e non appena superato il misto di nausea e turbamento, ho giurato a me stessa che mai e poi mai avrei rischiato di rovinare ancora il ricordo di qualcosa che avevo amato tanto, andando a vedere anche i due successivi polpettoni che immaginavo sarebbero stati esattamente allineati all’immonda cazzata che avevo appena finito di vedere. Per quel che mi riguardava, potevo sopravvivere benissimo anche senza conoscere i dettagli della discesa agli inferi di Anakin Skywalker, almeno per preservare la memoria di Luke, Leia e Ian, che erano proprio di un altro pianeta, e accidenti se è il caso di dirlo.

Però stavolta, visto che l’occasione si prestava, ho ceduto alla tentazione  e me li sono visti tutti, sia quelli che conoscevo che quelli che non avevo ancora mai visto, dal primo al sesto, con l’intento di applicare il differenziale estetico. E’ una curiosità scientifica: perché tra prequel e sequel ci passa un oceano? Tenuto conto soprattutto della differenza statosferica di risorse che Lucas ha avuto a disposizione tra il primo film che ha girato praticamente in garage – fatte le dovute proporzioni – e gli episodi recenti che hanno avuto tutto ciò che un produttore poteva chiedere nella sua immaginazione più sfrenata?

Ho cominciato ovviamente dagli episodi iniziali della saga, cioè quelli più recenti. E la cosa che ancora oggi davvero mi indigna, è la più totale assenza di una sceneggiatura sopra la soglia minima della decenza. Che cosa te ne fai della madre di tutti gli effetti speciali, se poi li applichi a una storiella che fa ridere, e che ha la potenza drammatica e la profondità narrativa della Schiava Isaura? Anche gli episodi originali sono abbastanza basic a livello di trama. La differenza però è che sono stati concepiti negli anni ‘70, quando il mondo e il modo di raccontare le storie erano infinitamente diversi, e rispondevano allo spirito di quei tempi. Tempi che poi sono cambiati senza che Lucas apparentemente ne abbia avuto sentore. Tanto per restare nell’ambito della fantascienza e capire di che parlo, tenete conto che gli episodi nuovi  sono sostanzialmente contemporanei alla saga di Matrix. Poi provate a confrontare la straordinaria potenza evocativa in termini di suggestioni di Matrix – un risultato che vale doppio se tenete conto che si è dovuto depotenziare anche l’effetto devastante della presenza della Bellucci – con la qualità estetica dei dialoghi da Paperissima di Star Wars 1/3, e ditemi se non vi prudono le mani. Non bastasse poi la povertà dell’impianto, ci sono i dettagli che inaspriscono l’amarezza. Ma perché la regina Amidala deve andare in giro tutto il film vestita come Platinette e con una plafoniera di capelli alta mezzo metro sulla testa? Specie poi nelle scene d’azione in cui rimbalza da una finestra all’altra sui ramponi, e in tutte quelle sequenze in cui sarebbe stato evidentemente più sensato evitare di paudarla in 15 metri di broccato cremisi che le volteggia intorno sfiorando sempre abbondantemente il senso del ridicolo? E perché sempre la stessa pupazza – ai cui outfit è stato sostanzialmente affidato  il 95% del potenziale creativo dei primi 3 episodi – quando torna a Naboo insieme ad Anakin, imbarca come bagaglio un paio di trolley dove io a stento riuscirei a far entrare uno spazzolino e un paio di pantofole, mentre lei evidentemente ci caccia dentro l’armadio di Narnia, perché nei giorni successivi la vedi cambiarsi d’abito 3 volte al giorno, e sempre per delle robette con tre metri di strascico in un trionfo di tulle e organza? Ma pagare un centinaio di dollari in meno la costumista e ridurle il dosaggio degli acidi, a favore magari di uno sceneggiatore un po’ meno desertificato a livello corticale, sarebbe stata una proposta davvero così sconsiderata?

 Insomma va da sè che anche l’episodio 2 e 3 che mi mancavano, non hanno certo contribuito a modificare il mio giudizio d’insieme. Poi sono passata a vedere quelli originali, e me li sono goduta più o meno come allora. E a conclusione della maratona, credo di poter dire che la differenza dipende soprattutto da questo: la saga originale non si prende mai sul serio. Specie l’episodio 4 – che era uno dei primi film di un regista sconosciuto con attori sconosciutissimi e un budget ridicolo che nemmeno poteva immaginare cosa sarebbe diventato nella storia del cinema e del costume – contiene in sè il perfetto bilanciamento tra la storia eterna che racconta in modo nuovo la stessa favola del bene e del male che si sussurravano i Sapiens Sapiens all’età della pietra intorno a un fuoco, insieme alla visione futuristica del mondo e della narrativa che osa tutto, e al senso dei propri limiti accompagnato dalla più sfrenata voglia di divertirsi. La scena del bar su Tatooine o quella del baletto orgiastico nel salone di Jabba the Hutt, sembrano prese pari pari dalla sigla di apertura dello show dei Muppets. Yoda che sbatacchia il bastoncino sulla capocetta di R2 contendendogli un biscotto e poi lo sputa subito dopo averlo assaggiato (Peewh! Awful, awful. How get you so big eating food of this kind?) a me tira ancora oggi sotto la sedia dalle risate. Le schermaglie così meravigliosamente vintage tra Ian e Leila che si scambiano si e no due bacetti in 9 ore complessive di film e senza manco un centrimetro di lingua – in epoche in cui in nei film di Natale ti tirano le mutande in faccia alla seconda sequenza – sono ancora tra le cose più romantiche che ricordo al cinema. Non c’è traccia di questo senso dell’umorismo e di questa levità nei primi tre episodi. Aleggia una gravità seriosa che ti fa desiderare ogni momento di prendere a schiaffi a turno tutti i membri del consigli degli Jedi per vedere se si svegliano e si ricordano che stanno raccontando una favola. Hayden Christiansen per esempio – che pure altrove non è un cattivo attore – interpreta tutta la vicenda tormentata di Anakin con un’espressione marlonbrandeggiante alla vaccinara col solo risultato di apparire gravamente costipato. Quel meraviglioso folletto ironico e lieve che nella serie originale è Yoda, nei primi episodi è un giudice sempre incazzato e vagamente tendente al livoroso, che non si fida di nessuno e che ricorda molto da vicino Renato Brunetta nei suoi giorni migliori, solo lievemente più verde e appena un filo più slanciato. La storia d’amore fra Anakin e Amidala è ingessata come quella tra l’imperatore d’Austria Francesco Giuseppe e Sissi secondo il cerimoniale di corte spagnolo, anche grazie allo sfondo delle montagne di Naboo che sono onestamente indistinguibili da quelle bavaresi.

E’ quello il brutto secondo me, Lucas. Che ci avevi raccontato una gran bella favola da bambini. E poi, non si sa come, ti sei messo in testa che crescendo – più soldi, più pancia e meno capelli – avresti potuto fare di meglio. E’ stato un errore. Perché certe cose, bene come le fanno i bambini, non le fa proprio nessuno. Ricordatelo. Specie nell’ipotesi non remota che nei prossimi anni ti dovesse venire in mente di produrre gli episodi 7/9.

star

13 pensieri su “Di galassie e altri demoni

      • Clooney farebbe senz’altro meglio. Anche perché peggio è quasi impossibile. Quanto al tuo commento, Vipero, sono assolutamente d’accordo con te. Nessuno poteva fare peggio di Lucas. Una volta l’ho sentito dire una cosa per cui lo odio ancora oggi. Fu quando uscì la Minaccia Fantasma. Disse così: questo film è quel che sarebbe stato Guerre Stellari se allora ne avessi avuto i mezzi. Capisci che sigifica? Che ha sconfessato Guerre Stellari a favore delle successive cagate. Del resto questo è da sempre il destino dell’arte, ed è anche il motivo per cui è buona norma ricordare che una volta che hai realizzato un prodotto creativo e hai scelto di diffonderlo, questo cessa di appartenerti e diventà proprietà spirituale del mondo, che ne fa ciò che vuole. Abbiamo fatto molto più noi per Guerre Stellari, che quella merda del padre biologico. Cosa che del resto, ora che ci penso, si può dire spesso anche degli esseri umani,

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