Cleaning catastrophes

Quando lavori in una struttura grande come quella a cui appartengo io, e lo fai per un periodo lungo a sufficienza da conoscere quasi tutti, ti rendi conto che qualsiasi comunità di persone costituisce sempre macrorganismo in qualche misura rappresentativo dell’intera umanità. Che poi è uno dei principi base della statistica, no? Proiettare le caratteristiche di un campione ristretto su una popolazione molto più ampia. Non che io attribuisca meriti salvifici alla statistica, tutt’altro. Però così, per farsi un’idea, è pur sempre un modo ragionevole per iniziare ad analizzare un fenomeno.

Ci ho pensato stamattina quando Rino il Mite mi ha placcata in un angolo senza possibilità di scampo, e mi ha costretta a intrattenermi con lui per qualche minuto. Rino il Mite è uno dei dipendenti della ditta di pulizie che ha in appalto l’università di Padova. Quindi, in senso estensivo, è un collega, proprio come la Stronza A Trazione Integrale di cui ho parlato qui, e il Cialtrone di cui invece parlavo qui. A stretto rigore lui, a differenza degli altri,  è un dipendente esterno. Ma siccome questa è un’operazione sociologica à la vache, e non un rilevameno dati scientifico per uno studio da sottoporre al board di Cognitive Neurosciences, direi che chissenefrega, e lo includo lo stesso.

Rino il Mite è persona che causa a me, e a tutti i miei colleghi, delle gravissime turbe sociali e comportamentali. Perché è un tapino olistico, e lo capisci appena posi gli occhi su di lui. Ha la faccia tapina, lo sguardo tapino, la camminata tapina, e un’aura tapinamente centripeta che lo circonda come una stigmate di santità sfigata. Ci metti un secondo a capire che su di lui, fin dalla notte dei tempi, si è riversata tutta la merda del mondo. Che è stato ignorato e offeso dalla famiglia, dalla moglie, dagli amici, dai vicini di casa, dai capi, dai colleghi, e poi più tardi dai figli, dai nipoti, e certamente anche dagli animali da compagnia. Rino il Mite è uno contro cui si accaniscono anche gli elettrodomestici o le folate di vento. Rino il Mite ti dà l’idea di essere una creatura genomata per soccombere senza sosta a qualsiasi input animato o inanimato che la vita gli mette di fronte. Che poi è proprio quel che è successo. Il che in teoria dovrebbe portarti a solidarizzare con lui. Se non fosse che non si è limitato a subire gli eventi. Li ha trasformati in una carriera. Rino il Mite vuole proprio convincerti che l’infelicità è l’unico orizzonte sensato da prendere in considerazione. Sia a titolo personale che universale.

E insomma per un po’ ho cercato di ascoltarlo, solo che davvero facevo sempre più fatica. Non c’era alcun desiderio di comunicare, e neppure di alleviare le sue pene parlando con qualcuno. Non era uno sfogo, era più una cosa come una conferenza stampa indetta dal portavoce del Ministero della Iattura. Comincia sempre così, mi chiede: come va? E io, che godo di buona salute e che la mattina sono sempre piuttosto carica e sorridente, rispondo: benissmo, e lei? Ed è lì che cominciano i problemi. Perché a lui pare palesemente inverosimile che qualcuno stia bene di prima mattina. Ma non è cattivo. Non ti augura alcun male. E’ solo che il suo orizzonte planetario gronda talmente merda, che proprio non riesce a concepire che qualcun altro non affoghi nello stesso liquame che tocca a lui. Non è neppure invidia. E’ proprio ontologica incapacità esistenziale a concepire l’idea che la vita possa andare meglio di così. Per cui quando prende la parola ti sotterra sotto palate e palate di terra secca e arida, elencandoti tutte le cose che non funzionano partendo dal particulare della sua miserrima esistenza quotidiana, per arrivare poi alle ingiustizie civili, penali, nazionali, europee, planetarie, e infine galattiche. Nulla che sia compreso fra qui e Alpha Centauri sfugge alla sua disamina nichilista, specie se gli dai corda.

Dopo un anno o due di questa solfa, di fronte alle mie dichiarazioni di status che continuavano ad essere invariabilmente positive, ha cominciato a rispondermi così: ma come bene? Sta ancora bene? Ma non è possibile che a lei le cose vadano sempre così bene! Che letta così può sembrare una risposta cattiva, ma che assolutamente non lo è. Bisogna conscerlo, Rino il Mite, per capire la portate del suo sconcerto. E’ proprio che lui non arriva a concepire cognitivamente questa possibilità, e dunque non ha altra scelta se non negarne l’evidenza. Se ci pensate, una decisione molto rivelatrice delle strategie della mente. Perché poi è un gioco che facciamo tutti, ognuno nel suo campo. Quel che non è conforme alle nostre mappe mentali, semplicemente non può essere vero.

Rino il Mite non riesce a concepire la felicità nemmeno come un Mito Aureo precendente la Caduta, nemmeno se gliela racconti come un episodio poco noto dell’Iliade o dell’Odissea. Il Bene non esiste neanche a livello di metafora, come ipotesi di lavoro, o come contrappeso necessario a polarizzare il Male.

Mi fa sempre pensare tanto, Rino il Mite. In particolare mi fa pensare al tema della responsabilità personale. A quanto pesano le nostre scelte nella decisione di essere felici o, al contrario, di essere frustrati e insoddisfatti. E a questo poco spazio lasciamo per permettere che la felicità accada, quando insistiamo a presentare il mondo come un luogo dove le cose devono andare male solo perché questa è l’unica legge universale in cui siamo disposti a credere.

bad luck